PREGO SELVAGEM
- foscaworld
- 11 set
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Prego Selvagem La parola portoghese "prego" racchiude in sé un universo semantico che la lingua italiana può solo approssimare: è chiodo, ma è anche preghiera, invocazione, atto di fede materializzato nel metallo. Questo giaguaro sospeso nel legno è tutte queste cose insieme: una preghiera martellata, una devozione che richiede la precisione del chirurgo e la fede dell'anachoreta.

Ho voluto sfidare l'apparente delicatezza del soggetto con la brutalità ancestrale del gesto: migliaia di colpi di martello, ognuno calibrato come una nota musicale, per dare vita a questa creatura che emerge dal supporto legnoso come un bassorilievo contemporaneo. È il paradosso che attraversa tutta la mia ricerca artistica: la necessità di distruggere per creare, di ferire il supporto per farlo respirare, di usare la violenza come strumento di grazia.
Ogni chiodo piantato è un atto di fede nella possibilità che la materia inanimata possa trasformarsi in presenza viva. Non si tratta di semplice assemblaggio, ma di una forma di alchimia dove il ferro diventa pelo, l'acciaio si trasforma in sguardo, la freddezza del metallo genera calore. È un processo che appartiene più alla dimensione rituale che a quella meramente artistica: ogni colpo di martello è una parola pronunciata in una lingua che solo le mani conoscono.

Il giaguaro che ne emerge non è statico: vive una vita parallela scandita dal ritmo del sole. Al mattino, quando i primi raggi lo accarezzano, i chiodi si illuminano come scaglie dorate; nel pomeriggio diventano ombre che disegnano una seconda pelle sopra quella metallica; alla sera, sotto la luce artificiale, creano un gioco di riflessi che fa sembrare l'animale in perpetuo movimento. È un'opera temporale, che esiste solo nel dialogo continuo con la luce e che cambia umore come un essere vivente.
L'aspetto tattile non è accessorio ma sostanziale: quest'opera chiede di essere toccata, accarezzata, esplorata con i polpastrelli oltre che con gli occhi. Passare la mano su questi chiodi produce una musica sottile, un suono che ricorda ora la pioggia tropicale sui tetti di lamiera, ora il fruscio del vento tra le foglie secche. È un'esperienza sensoriale totale che coinvolge l'udito, il tatto, la vista in una sinfonia percettiva che va oltre la contemplazione tradizionale dell'arte.
Nella mitologia amerindia, il giaguaro è il guardiano del fuoco primordiale, colui che ha rubato il sole agli dei per donarlo agli uomini. In questa versione metallica, continua la sua funzione di mediatore tra le forze cosmiche: cattura la luce del giorno e la restituisce trasformata, filtrata attraverso migliaia di piccole superfici riflettenti che creano un firmamento domestico, un cielo stellato portatile che porta l'infinito nella dimensione dell'opera d'arte.
È anche, inevitabilmente, una riflessione sulla durezza necessaria per sopravvivere nel mondo contemporaneo. Come il giaguaro deve affilare i suoi artigli sulla corteccia degli alberi, così l'artista deve temprarsi nel confronto con la materia bruta, con la resistenza del mondo, con la fatica dell'espressione. Ma da questa durezza nasce una forma inedita di tenerezza: quella dell'oggetto che sa di essere stato creato con amore, chiodo dopo chiodo, gesto dopo gesto, in un tempo dilatato che è l'antitesi della fretta contemporanea.


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